I radionuclidi derivanti dalle attività nucleari si sono ampiamente diffusi negli ecosistemi, dove poi restano per molto tempo. Si stima che nei soli Stati Uniti ci siamo circa 80 milioni di metri cubi di suolo e almeno 4,7 miliardi di metri cubi di acqua che sono stati contaminati da passate attività nucleari.
È stato attestato che le tartarughe e le testuggini possono conservare negli strati del carapace una documentazione pluridecennale di passate esposizioni alla contaminazione radioattiva, derivante da test di armi nucleari o dal rilascio accidentale di rifiuti. Tale scoperta potrebbe essere utile per monitorare a lungo termine le variazioni radioattive degli elementi in natura.
«Testare l’accumulo di radionuclidi negli organismi rappresenta una vera sfida» afferma Cyler Conrad del “Pacific Northwest National Laboratory” di Washington. Gli anelli di accrescimento degli alberi, ad esempio, si formano in sequenza e possono immagazzinare radionuclidi ma gli elementi possono diffondersi nel legno e quindi fornire una registrazione cronologica inaffidabile. Anche gli scuti del carapace crescono a strati ma una volta che il materiale si deposita e si separa dagli altri tessuti corporei, viene effettivamente contrassegnato con la data e l’ora.
I ricercatori si sono concentrati su cheloni provenienti da aree che hanno subito contaminazione nucleare e hanno misurato l’uranio presente negli scuti, costituiti dalla cheratina che agisce come un serbatoio inerte di informazioni ambientali. Sono stati studiati cinque diversi esemplari di cinque diverse specie, provenienti da collezioni di storia naturale.
Uno di questi proveniva dall’atollo di Enewetak, nell’oceano Pacifico centrale, ed è stato raccolto nel 1978. Gli atolli delle Isole Marshall sono stati sito di 67 test nucleari, di cui i due terzi avvenuti proprio a Enewetak. Sebbene la Chelonia mydas probabilmente non fosse viva durante il periodo dei test, i ricercatori hanno comunque trovato nella tartaruga una contaminazione da uranio ben venti anni dopo la fine dei test, probabilmente a seguito del consumo di alghe contaminate.
Un secondo esemplare esaminato che ha fornito particolari riscontri è stato raccolto nel 1962 a Oak Ridge, nel Tennessee (USA), cittadina famosa per ospitare un impianto nucleare che dal 1943 tratta e produce uranio. Lo strato di guscio più contaminato di questa Terrapene carolina carolina è risultato essere quello della nascita e ciò suggerisce che i livelli di contaminazione nella madre erano ancora più elevati.
I risultati ottenuti supportano l’idea che i cheloni, che spesso vivono a lungo, possano registrare informazioni sull’attività umana per un periodo prolungato. Questa scoperta apre un nuovo campo di ricerca radioecologica, che può sfruttare le collezioni zoologiche dei musei per valutare la concentrazione di radionuclidi nei diversi tessuti. Inoltre, aumenta il potenziale per misurazioni non invasive dell’accumulo di radionuclidi nelle tartarughe e nelle testuggini viventi.
L’obiettivo futuro per i ricercatori è quello di espandere i loro studi per indagare se le tartarughe stanno ancora accumulando radionuclidi e come queste creature possano essere studiate da vive per comprendere l’ambiente moderno. Mentre continuiamo ad affrontare le sfide e le conseguenze dell’attività nucleare, questi rettili resilienti potrebbero ancora contenere la chiave per svelare altri misteri nucleari che ancora ci attendono.
Per maggiori informazioni: Anthropogenic uranium signatures in turtles, tortoises, and sea turtles from nuclear sites
Credit foto in evidenza: National Archives, photo no. 28828530 (326-16-042)