Storia di un giovane biologo che ha trasformato una passione in missione scientifica
Il 23 luglio 2025 è stato un giorno che Giuseppe Di Rosa non dimenticherà mai. Non solo ha discusso la sua laurea in Biologia Ambientale all’Università di Catania, ma nello stesso giorno ha assistito alla nascita di decine di piccole tartarughe marine e ha messo in sicurezza due nidi di Caretta caretta.
«Continuavo a ripetere a tutti che la schiusa sarebbe avvenuta il giorno della mia laurea… ed è successo davvero!», racconta con un sorriso. È così che, con la corona d’alloro ancora in testa, Giuseppe ha partecipato alla liberazione delle prime neonate, prima di correre alla propria festa di laurea… in ritardo.
Una giornata simbolica
Quella data ha assunto per lui un valore doppiamente simbolico. Esattamente un anno prima, il 23 luglio 2024, si era schiuso il primo nido in Italia proprio ad Avola (SR), la sua città, insieme a un nido in Calabria. «Non potevo credere che la mia laurea fosse stata fissata lo stesso giorno. Era come se il destino avesse voluto legare in modo indissolubile la mia vita a quella delle tartarughe marine».
La giornata di Giuseppe era iniziata all’alba, con la telefonata di Massimo Artale, operatore ecologico che da due anni collabora con i volontari WWF. «Sappiamo che i trattori possono danneggiare l’habitat costiero, ma abbiamo trasformato questa criticità in risorsa. Formando gli operatori, sono diventati i nostri occhi sulla spiaggia». Quella mattina, Massimo segnalò una nuova risalita, e Giuseppe si precipitò a recintare il nido.
Poche ore dopo, in viaggio verso Catania per la discussione della tesi, ricevette un altro messaggio: sua cugina aveva trovato un secondo nido ad Avola. Per la prima volta, nella stessa giornata, erano stati scoperti due nidi in città. Uno dei due era troppo vicino alla battigia e rischiava di essere travolto dal mare: serviva un trasloco.
«Dopo la proclamazione, sono tornato in spiaggia con la mia correlatrice, la biologa Oleana Prato, responsabile regionale del progetto tartarughe del WWF Italia. Io con la tesi e la corona d’alloro, lei con un ombrellone per fare ombra alle uova. È stato un pomeriggio torrido, ma indimenticabile: i bagnanti ci hanno aiutato a scavare, a portare acqua, a costruire il recinto. In quel momento ho capito che le tartarughe non uniscono solo chi le studia, ma sanno toccare il cuore di chiunque».
Un amore nato per caso
La passione di Giuseppe per le tartarughe marine è iniziata quasi per caso, nell’estate del 2018. Accompagnava un amico a un monitoraggio guidato da Oleana Prato, e fu lui a individuare la prima traccia. «Era il mio primo nido e anche il primo trasloco a cui ho assistito. Non potevo immaginare quanto quell’incontro mi avrebbe segnato».
Negli anni successivi, complici viaggi e impegni, si era allontanato dalle attività. Ma nel 2023 la scintilla si riaccese. «La notte del 6 luglio vidi deporre per la prima volta una tartaruga adulta. Guardarla negli occhi mi ha cambiato la vita». Da lì la scelta radicale: iscriversi a Biologia Ambientale, pur avendo già una laurea in Farmacia. «Alle tre di notte, poco prima della scadenza per le iscrizioni, ero davanti al computer a compilare la domanda. Sapevo che quella era la mia strada».
Nel 2024 ha fondato il Tartavola Team, un gruppo di volontari che ha individuato ben 14 nidi solo ad Avola nel primo anno di attività, coinvolgendo cittadini e operatori ecologici. «La sindaca di Avola è diventata una vera fan delle nidificazioni. Ha capito che non si tratta solo di ecologia, ma anche di un’opportunità turistica e culturale per la città».
Dalla teoria alla pratica
Oggi Giuseppe è volontario autorizzato dal Ministero dell’Ambiente con deroga al DPR 357/97, che consente a figure formate di intervenire sui nidi in modo diretto. Un traguardo raggiunto grazie all’impegno e all’affiancamento a Oleana Prato, che lui stesso definisce «la mia università prima dell’università».
«La teoria conta, ma da sola non basta. Senza le notti passate sulla sabbia, senza l’affiancamento a figure esperte, non avrei imparato davvero cosa significa proteggere un nido». Non a caso, ha dedicato la sua tesi di laurea a uno studio pionieristico sull’impatto dei granchi fantasma sulle uova di Caretta caretta.
Un messaggio universale
Per Giuseppe, proteggere i nidi è un atto d’amore senza ritorno. «Le tartarughe non si affezionano come cani o gatti, non ti ricambieranno mai. È facile amare chi ti ama, ma amare chi non può ricambiare è un’altra cosa. La vera ricompensa è vederle emergere dalla sabbia, vederle correre verso il mare».
Ma la sua visione non si ferma all’emozione. È anche una questione di giustizia ecologica. «Molti dicono che dovremmo lasciare che la natura faccia il suo corso. E sarei d’accordo, se fossimo rimasti spettatori neutrali. Ma non lo siamo: la mortalità degli adulti, causata dalle nostre attività, è enorme. Per questo credo che proteggere ogni nido sia un atto di compensazione verso una specie che stiamo minacciando».
Guardando al futuro
Giuseppe è fiducioso, ma consapevole delle sfide. «Le Caretta caretta hanno superato catastrofi naturali e cambiamenti climatici enormi nella loro storia evolutiva. Ma oggi il pericolo siamo noi: la pesca intensiva, l’inquinamento, le luci artificiali, i mezzi meccanici sulle spiagge. Una volta, proprio ad Avola, una tartaruga è stata uccisa da un trattore che ripuliva la spiaggia. È stata una scena straziante».
Nonostante tutto, vede segnali positivi: più attenzione mediatica, più coinvolgimento delle istituzioni locali, più volontari sul campo. «Sono convinto che le tartarughe ce la faranno, perché sono resilienti. Ma a rischio, in realtà, siamo noi: senza ecosistemi in salute, la nostra stessa economia e la nostra alimentazione sono in pericolo».