La tossicità delle microplastiche è una preoccupazione crescente per i membri della comunità scientifica. Le tartarughe marine, in particolare, sono predisposte all’ingestione di plastiche e microplastiche ed essendo animali con una lunga aspettativa di vita, queste potrebbero mostrare una certa tossicità.
Sono due i fattori che aumentano il rischio di ingestione di frammenti di plastica da parte di questi rettili marini rispetto ad altri abitanti del mare: il primo è dovuto alla strategia di alimentazione basata sulla vista, che le porta a confondere plastiche galleggianti per meduse o altri animali marini di cui le tartarughe si nutrono; il secondo è la presenza delle papille esofagee, strutture anatomiche evolute che consentono all’animale di espellere l’acqua ingerita senza rigurgitare l’alimento, portando però così all’impossibilità di rigurgitare anche le plastiche ingerite.
I danni correlati all’ingestione di macroplastiche sono ormai ben conosciuti, poco sappiamo invece di come l’organismo risponde alla presenza delle microplastiche (per definizione, quei frammenti al di sotto di 5mm). La prospettiva di microplastiche che si muovono nell’organismo supporta l’ipotesi di un trasferimento materno come possibile e rilevante via di esposizione alle microplastiche e ciò è stato già osservato e dimostrato in diverse specie come nello zebrafish (Danio rerio).
Se questo tipo di trasferimento ci fosse anche nelle tartarughe marine, gli effetti avversi sullo sviluppo embrionale sarebbero realistici e rappresenterebbero una via di inquinamento prima ancora di un reale contatto con l’ambiente esterno. Proprio a causa delle preoccupazioni in merito a questo trasferimento e alle conseguenze che avrebbe sulla conservazione della specie, è stato condotto uno specifico studio con l’obiettivo di investigare la presenza di microplastiche nel tuorlo e nel fegato di embrioni di Caretta caretta.
Le uova utilizzate per lo studio sono state raccolte in collaborazione con l’associazione “tartAmare” da due nidi localizzati su una spiaggia della costa toscana durante l’estate 2020. Entrambe le spiagge presentavano un basso tasso di antropizzazione, lontane da aree residenziali, da fonti luminose e da corsi d’acqua. Si è scelto di studiare solo 51 uova dal nido di Rimigliano (LI) e una in più dal nido di Baratti, frazione di Piombino (LI).
Per ogni uovo embrionato sono stati raccolti dei dati biometrici come peso dell’embrione (senza sacco vitellino), peso del tuorlo, peso del fegato, lunghezza dritta del carapace (straight carapace lenght-SCL) e larghezza dritta del carapace (straight carapace width-SCW). In base ai parametri raccolti è stato possibile determinare lo stadio di sviluppo degli embrioni e solamente quello allo stadio 30 (27 e 48 rispettivamente dai nidi di Rimgliano e Baratti) sono stati reclutati per le fasi successive, ovvero analisi biometriche ed istologiche; questo perché era lo stadio più rappresentativo in entrambi i nidi.
Per la prima volta, la presenza di microplastiche è stata associata ad alterazioni fisiologiche in embrioni di tartaruga marina. L’aumento del numero di melanomacrofagi epatici dove la presenza di microplastiche è maggiore può suggerire l’attivazione di sistemi di difesa dell’organismo a causa della presenza di corpi estranei o per il rilascio di contaminanti assorbiti da questi.
Nello studio sono stati raggiunti due importanti obiettivi ovvero per la prima volta sono state trovate microplastiche negli embrioni di Caretta caretta ed inoltre è stata osservata una correlazione tra il numero di melanomacrofagi nel fegato e le microplastiche in esso contenute, suggerendo che queste possano esercitare la loro azione tossica sui tessuti embrionali, mentre i macrofagi potrebbero essere usati come biomarker per la presenza di plastiche nel fegato degli embrioni di tartaruga marina. Questi risultati sono il primo passo per aumentare la conoscenza sugli effetti delle microplastiche sullo sviluppo embrionale e la loro mobilizzazione durante il processo di oogenesi.
Per maggiori informazioni: Microplastics evidence in yolk and liver of loggerhead sea turtles (Caretta caretta), a pilot study