Il 10 novembre 2021, Tartapedia ha compiuto i suoi primi dieci anni, grazie all’impegno di tutti coloro che collaborano ai nostri piccoli risultati e grazie alla costante presenza e supporto di chi ci segue.
Per celebrare l’occasione abbiamo reso la decima edizione del nostro Calendario cartaceo un pizzico più speciale delle precedenti. Al suo interno infatti, sono stati inseriti gli estratti delle interviste che abbiamo condotto a sei figure di spicco del panorama italiano delle tartarughe e delle testuggini.
Da oggi 25 gennaio e per i prossimi quattro martedì, pubblicheremo le interviste integrali qui sul nostro portale. Ad aprire questo mini-ciclo, ecco di seguito le interessanti risposte del Dr. Andrea Affuso, medico veterinario del Centro Ricerche Tartarughe Marine “Anton Dohrn” sito a Portici (NA):
Come ha scoperto la sua passione per le tartarughe?
Fin da piccolo ho avuto una grande passione per il mondo animale e per i selvatici in particolare. L’interesse per gli animali selvatici si è radicato maggiormente grazie ai documentari che venivano messi in onda negli anni 70-80, nell’età della mia adolescenza.
Quando mi sono iscritto alla facoltà di medicina veterinaria ho realizzato che la possibilità di lavorare con animali selvatici per un veterinario italiano era molto scarsa e che probabilmente avrei dovuto seguire altre strade professionali e semmai coltivare la mia passione come hobby.
Dopo molti anni di lavoro in ricerca nel campo della genetica applicata alla comprensione e cura delle malattie, si è verificata l’opportunità di rientrare alla sede centrale della Stazione Zoologica “Anton Dohrn” e di occuparmi della cura di quelle tartarughe marine che venivano recuperate in difficoltà e trasferite presso il centro di recupero per essere reintrodotte in natura al termine di un periodo di riabilitazione. Ovviamente ho accettato l’incarico con grande entusiasmo!
La passione per questi animali mi è cresciuta velocemente man mano che li conoscevo. Sono incredibili e non si può non innamorarsene. Sarebbe fantastico se in noi umani fossero presenti maggiormente alcune delle loro qualità.
Poiché in Italia non esiste una vera e propria specializzazione, quale percorso ha affrontato per poter diventare Medico Veterinario specializzato nelle tartarughe marine?
Ho avuto la grande opportunità di affiancare un collega esperto ed appassionato quale era il compianto Luigi Ferretti. Successivamente ho trascorso un periodo di lavoro e formazione in Florida, sulla costa atlantica della penisola. Lì ho lavorato al fianco di un altro luminare specialista di tartarughe marine, quale è Charles Manire.
Ho così cominciato a capire come “funzionano” questi straordinari animali ed ho imparato quali sono le principali differenze rispetto ai mammiferi, oggetto quasi esclusivo degli studi universitari.
Le tartarughe, a differenza di molte altre specie animali, presentano delle difficoltà in più in sede di operazione chirurgica.
Quali sono le complicazioni e le differenze più rilevanti?
E quali sono dunque, le operazioni chirurgiche che affronta con più frequenza?
La presenza di un guscio corneo (carapace e piastrone) riduce moltissimo le aree idonee all’accesso chirurgico agli organi interni.
Interventi frequenti sono quelli necessari per la rimozione di corpi estranei ingeriti, per lo più ami e lenze. In questi casi gli accessi chirurgici più frequentemente praticati sono attraverso la regione del collo (per l’accesso all’esofago) o attraverso le regioni inguinali (per l’accesso allo stomaco ed a buona parte del tratto intestinale.
Nello specifico: rimozione di ami infissi in esofago o, più raramente, in stomaco o intestino. Rimozione di lenze lungo il tratto gastro-intestinale e riparazione dei danni parietali da esse creati. Suture cutanee per ferite conseguenti ad impatti (chiglie di imbarcazioni, caduta dal sacco delle reti a strascico sulla coperta della barca da pesca), o tagli (spesso causati da eliche). Ricostruzione di pinne danneggiate dall’imbrigliamento in cordami.
Quali sono state invece gli oggetti più strani ritrovate all’interno di una tartaruga sottoposta ad operazione?
Una rete di quelle che vengono utilizzate per contenere i palloni economici che si acquistano in cartoleria; tappi di bottiglie di plastica; un contagocce di plastica. Questi oggetti sono stati rinvenuti in corso di autopsia ed in alcuni casi erano chiaramente la causa della morte.
Inoltre, nel febbraio 2018 in un esemplare di C. caretta furono ritrovati alcuni di quei dischetti sversati dal depuratore di Capaccio-Paestum e ritrovati a migliaia sulle coste mediterranee fino in Francia e Spagna.
Qual è stata l’operazione più complicata affrontata fino ad oggi?
Una tartaruga con una lenza in intestino e l’amo in esofago. Infatti, dopo aver rimosso l’amo ho verificato che l’intestino era stato tagliato in più punti dalla lenza ed è stato necessario asportare le porzioni di intestino irrimediabilmente rovinate, risuturando poi le parti sane fra loro.
Intervento lungo, delicato e molto invasivo per la tartaruga, che solo grazie alla resistenza straordinaria degli esemplari di tale specie è riuscita a superare l’intervento ed a tornare in perfetta salute.
Quali sono i casi che l’hanno colpita di più nel corso della sua carriera?
La cosa più incredibile per noi mammiferi è come questi piccoli animali siano già completamente autosufficienti fin dalla nascita. Sono già programmati per fare le cose giuste al momento giusto ed hanno già alla nascita la completa conoscenza di tutto ciò che servirà loro per sopravvivere e procreare.
Mi ha impressionato molto, e penso che continuerà a farlo, il momento del rilascio in mare di tartarughine neonate. È sempre emozionante osservarle mentre cercano l’orientamento nel mare sconfinato e nel giro di pochi minuti trovano la direzione e partono determinate a nuotare verso una meta a noi misteriosa.
Quali sono i passi che si percorrono prima di rilasciare un esemplare in natura post convalescenza?
E nel momento in cui un esemplare non può essere reinserito in mare, qual è l’iter da eseguire?
Capita con una certa frequenza che si riesca a salvare la vita alla tartaruga che arriva al centro, ma non si riesca ad assicurare la completa ripresa funzionale delle parti interessate da lesioni importanti. Tipicamente ciò accade nei casi di imbrigliamento in cordami, per cui la pinna che rimane imprigionata spesso, al momento dell’arrivo presso il centro di recupero, è già in necrosi ischemica e deve essere amputata.
In queste circostanze, come nei casi di lesioni nervose che esitano in paralisi di uno o piò arti, è necessario verificare che le capacità di nuoto siano sufficienti per consentire alla tartaruga di immergersi, riemergere, procurarsi il cibo e fare tutte le cose necessarie alla sopravvivenza. A tal fine trasferiamo i soggetti in una vasca molto grande che ci permette di osservare il loro comportamento in spazi ampi e verificare che non vi siano deficit nelle capacità di spostarsi nella colonna d’acqua.
A seguito di queste verifiche alcune tartarughe politraumatizzate, salvate dopo essere state ritrovate in condizioni di serio pericolo di vita, hanno mostrato deficit tali da non poter tornare alla vita selvatica. Una è stata affidata ad un acquario che la ospita in una vasca molto grande ed abbastanza simile ad un ambiente naturale. In questo caso la tartaruga è stata fortunata.
Però abbiamo almeno un altro paio di casi di esemplari che hanno perso la funzionalità di alcune pinne ed in natura non sarebbero capaci di sopravvivere. Stiamo cercando soluzioni che consentano loro di essere ospitate in cattività in ambienti e spazi idonei, ma non sarà facile trovare una sistemazione ottimale.
Per quegli esemplari che necessitano di un ricovero prolungato, è previsto uno speciale protocollo fisioterapico prima del rilascio?
Per fortuna le tartarughe marine sono animali con un sistema neurologico relativamente poco sviluppato ed hanno scarsa capacità di apprendere. Ciò implica che le azioni che compiono in natura rispondono ad automatismi che difficilmente possono essere influenzati ed alterati da esperienze come la cattività prolungata.
Rimane il fatto che l’apparato muscolo-scheletrico ed anche alcuni aspetti biochimici cambiano durante la permanenza in cattività. Realizzare un percorso di riabilitazione funzionale e metabolica pre-rilascio più complesso di quello che normalmente applichiamo, che consiste nel trasferimento per brevi periodi in vasca grande, potrebbe essere difficile, dispendioso e dai risultati incerti.
Invece la scelta del periodo dell’anno più favorevole al rilascio (primavera in primis ed autunno per i soggetti in ottime condizioni e con brevi periodi di mantenimento in cattività) consente alle tartarughe neo-liberate di riadattarsi alla vita selvatica senza dover affrontare condizioni estreme come quelle invernali o di piena estate.
In altre parole, essendo consapevoli che il percorso riabilitativo che attuiamo in cattività non può riprodurre in toto le condizioni naturali, facciamo in modo che le tartarughe possano completare la riabilitazione in libertà, nel loro ambiente naturale, nei periodi dell’anno più favorevoli per potersi riabituare alla vita selvatica.
Da quando ha iniziato a lavorare con questi animali, quali sono stati i cambiamenti più significativi che ha potuto osservare?
Alla Stazione Zoologica “Anton Dohrn”, con la quale sappiamo collabora da ben 10 anni, quanti esemplari arrivano ogni anno ed in che percentuale vengono poi rilasciati?
Negli ultimi due anni è aumentata sensibilmente l’incidenza di animali investiti da imbarcazioni e quindi con lesioni da impatto con la chiglia e/o da taglio a causa dell’elica. Ciò corrisponde a quel che si è osservato nei periodi post-pandemia da COVID-19 e cioè che alla fine delle restrizioni al movimento tutti quelli che avevano un’imbarcazione si sono riversati in mare.
Probabilmente per evitare di frequentare le spiagge con i conseguenti rischi di contagio e per il desiderio di muoversi liberamente. Fatto sta che il traffico marittimo la scorsa estate è aumentato enormemente e quest’anno sembra che si stia ripetendo lo stesso fenomeno.
Spesso purtroppo in soggetti che arrivano per traumi da impatto, scopriamo la presenza di ami o rifiuti ingeriti, o altre patologie, spesso legate ad attività antropiche, che hanno creato lo stato di malessere che ha indotto la tartaruga a rimanere più tempo in superficie e quindi ad essere maggiormente esposta al pericolo di essere investita da imbarcazioni.
È triste quindi dover considerare che l’uomo, dopo aver causato un malessere ad un animale, poi gli dà il colpo di grazia investendolo.
Il numero di tartarughe recuperate ogni anno è assai variabile e si aggira grosso modo sui 30-40 esemplari. Così come è assai variabile la percentuale di quelle che riusciamo a salvare e che dipende dalla gravità delle condizioni all’arrivo.
C’è da registrare inoltre un incremento delle segnalazioni di tartarughe ritrovate morte sulle coste o nelle acque litorali della Campania. Questo dato è ancora da analizzare per comprenderne il significato, ma esiste il timore che una parte di esemplari ritrovati morti possano essere stati incontrati ma non soccorsi quando erano ancora vivi.
Tale triste considerazione ci fa pensare che non si debba mai smettere di svolgere azioni di sensibilizzazione a tutti gli utenti del mare e delle spiagge e di formazione per gli operatori che vivono e lavorano in acque costiere e sulle spiagge.
Ringraziamo di cuore il Dr. Andrea Affuso per la concessione di questa intervista e vi invitiamo a non perdere la prossima intervista di martedì 1 febbraio 2022, con il naturalista Francesco Luigi Leonetti.