Il 10 novembre 2021, Tartapedia ha compiuto i suoi primi dieci anni, grazie all’impegno di tutti coloro che collaborano ai nostri piccoli risultati e grazie alla costante presenza e supporto di chi ci segue.
Per celebrare l’occasione abbiamo reso la decima edizione del nostro Calendario cartaceo un pizzico più speciale delle precedenti. Al suo interno infatti, sono stati inseriti gli estratti delle interviste che abbiamo condotto a sei figure di spicco del panorama italiano delle tartarughe e delle testuggini.
Dal 25 gennaio e per i successivi quattro martedì, pubblicheremo le interviste integrali qui sul nostro portale. Dopo l’intervista al Dr. Andrea Affuso, al naturalista Francesco L. Leonetti e alla biologa marina Chiara Mancino, ecco di seguito le interessanti risposte di uno dei migliori allevatori italiani di testuggini terrestri e acquatiche, Davide Carlino:
Salve Davide, ci racconti di quando e come è nata la tua passione per le testuggini?
Potrebbe sembrare, questa, la più semplice delle domande a cui rispondere e invece è la più complessa, perché richiede di andare a scavare in un campo di ricordi già piuttosto lontani, alla ricerca magari di un momento preciso o un evento a cui ricondurre tutto.
Penso che l’amore per questi animali sia davvero insito nella mia personalità, già da quando il mio cartone animato preferito raccontava proprio la storia e le avventure di quattro, insolite quanto uniche, tartarughe mutanti.
Da sempre mi sento legato a loro, come da un “fil rouge” che tiene forte. Ma, escludendo fortuite esperienze precedenti, ho avuto la mia prima tartaruga di terra, una Testudo hermanni hermanni che ancora oggi allevo con grande orgoglio, quando avevo 14 anni. Posso considerare questo il vero trigger della mia passione e dire che quel momento è stato il primo passo del mio lungo viaggio. Allevo, quindi, questi fantastici animali da 25 anni ormai, con lo stesso identico entusiasmo del primo giorno, o forse molto di più, nonostante il percorso non sia stato privo di sconfitte e fallimenti, avendo a che fare con esseri viventi e con il loro delicato equilibrio.
Sappiamo che sei stato il primo allevatore italiano a riprodurre Staurotypus salvinii.
Com’è stata come esperienza? Quali sono state le complicazioni affrontate?
Quante volte hai incubato le uova, fallendo, prima di trovare i parametri corretti?
Riprodurre una specie per la prima volta è un’esperienza unica, non da equiparare alla vittoria di una corsa, in cui vuol dire che sei stato inequivocabilmente il più veloce. Non mi sento in competizione con altri allevatori e con nessun altro, perché l’unica gara a cui mi piace partecipare è quella con me stesso.
Aver riprodotto questa specie quando in Italia non lo aveva fatto ancora nessuno precedentemente, vuol dire essere riuscito, per quanto possibile, ad incontrare molte delle esigenze di questa specie. Una delle complicazioni minori, non certo trascurabili, è stata senza alcun dubbio la convivenza della coppia di esemplari nello stesso acquario, considerando che questa specie appartiene ad un genere, Staurotypus, e ad una famiglia, Kinosternidae, di tartarughe piuttosto noti per la loro aggressività.
L’ostacolo maggiore, invece, almeno nella fase iniziale, è stato rappresentato dall’incubazione delle uova. Dopo il primo tentativo e il fallimento con la prima deposizione, analizzando meglio l’andamento climatico nei luoghi di origine e molta letteratura al riguardo, ho trovato i parametri sufficientemente necessari per il raggiungimento dell’obiettivo e il successo ottenuto ha ripagato di gran lunga qualsiasi tipo di sforzo.
Non è stato estremamente difficile dopo aver trovato le informazioni necessarie, perché, come in poche altre specie, anche le uova di Staurotypus salvinii richiedono un periodo di diapausa, un “raffreddamento” delle uova stesse a una temperatura di circa 20-22°C per circa un mese, che deve essere rispettato affinché l’embrione vada incontro a uno sviluppo più vigoroso.
Quante specie hai riprodotto ad oggi?
E quali pensi siano quelle di maggior rilevanza?
Se volessi considerare questa domanda da un punto di vista “specifico”, 38 è il numero di specie riprodotte finora. Meno tecnicamente, però, posso dire di aver riprodotto 43 tipi diversi di tartarughe. E se dovessi pensare a quali siano state le più rilevanti, in chiave ideale, direi che quelle maggiormente degne di menzione sono senza alcun dubbio le tartarughe asiatiche, perché ritengo che siano le meno protette a livello globale.
Per tale motivo reputo che una nascita in più sia un microscopico passo che le allontani dall’estinzione, nella piena consapevolezza che una goccia in un mare ha la sua importanza, ma resta pur sempre una goccia.
Aver visto nascere, in tutti questi anni, specie come Sacalia bealei e Sacalia quadriocellata, Geoemyda spengleri, Cuora galbinifrons, Cuora bourreti e Cuora picturata è stato molto più che entusiasmante.
Da un’altra angolazione, meramente personale, la più rilevante è la prossima specie che tenterò di riprodurre, da aggiungere a questa lista, che non sia solo un numero sterile, ma che confermi che sto lavorando in maniera adeguata lungo questo percorso.
Qual è stata la riproduzione che ti ha dato maggiori soddisfazioni e quale ha presentato, al contrario, maggiori difficoltà o fallimenti?
Ho incontrato le difficoltà maggiori, in ambito di riproduzioni, soprattutto con Cuora bourreti e ancora oggi non riesco a individuare dove possa nascondersi l’errore che commetto durante il periodo di incubazione, per cui il numero degli insuccessi, con uova fertili, è quasi pari al numero dei successi.
Tante difficoltà le ho incontrate anche incubando uova di specie di origine sudamericana, tra cui Platemys platycephala, Mesoclemmys gibba, Mesoclemmys raniceps, delle quali attualmente, purtroppo, non allevo più coppie adulte.
Dire, invece, quale potrebbe essere stata la riproduzione che mi ha dato maggiori soddisfazioni è un’impresa ardua, ma come detto in precedenza, la più entusiasmante sarà la prossima tartaruga che vedrò nascere. Ogni uovo che si rompe, dalla cui spaccatura lascia intravedere una nuova vita, è un momento unico e irripetibile, ma niente genera la stessa elettrizzante sensazione di una specie nuova per me, che sta per venire alla luce.
Allevare tartarughe sappiamo bene che richiede del tempo e anche molto spazio.
Nel quotidiano come riesci a ripartire il tuo tempo?
Come riesci a gestire tutti gli esemplari, soprattutto quando capita che ti devi assentare per più giorni?
Il tempo per me è diventato un fattore molto più che relativo, sembra quasi sia un concetto ormai sconosciuto. Tutto il tempo libero è interamente dedicato alle mie tartarughe. Ho deciso di creare questo progetto pensando a qualcosa che mi rendesse davvero felice.
Per questo motivo, avere un numero considerevole di esemplari, ma ancor più un numero non trascurabile di specie diverse, è qualcosa di estremamente impegnativo, pensando che bisogna far fronte alla molteplicità di esigenze da qualsiasi punto di vista. Ma se così non fosse, non potrei dire di aver dedicato loro buona parte della mia vita e di questo ne sono estremamente orgoglioso.
Non mi è mai capitato di stare lontano da casa per più di 15 giorni. Con il prezioso aiuto di mio padre, che si occupa in special modo della parte tecnica di impianti elettrici e idraulici, sto cercando di “automatizzare” l’allevamento quanto più possibile e dove possibile, con la facoltà di controllare alcuni aspetti anche a distanza.
In caso di mia assenza, comunque, ho sempre qualche fidato “assistente” su cui contare e nella maggior parte dei casi è un compito che lascio serenamente ai miei genitori, che in tutti questi anni non solo hanno imparato quasi perfettamente a riconoscere la maggior parte degli esemplari oltre che ad assecondare e sopportare questa mia inclinazione, ma sono anche stati una valida e indispensabile spalla su cui gravare.
Quali consigli ti senti di poter dare a chi vuole intraprendere la strada dell’allevamento amatoriale?
Di consigli vorrei darne tanti, con l’umiltà, però, di chi vorrebbe ancora riceverne molti. Ma voglio limitarmi ad uno soltanto, che ritengo sia un pilastro portante e che nasce da una serie di errori fatti in passato… e da qualcuno che ogni tanto ancora commetto.
Escludendo il lato affettivo, perché oltremodo soggettivo, ritengo che le tartarughe siano identiche a qualsiasi altro animale, uguali ad un cane, a un cavallo, a una giraffa o a un criceto, e, come tali, ognuna con le proprie necessità che devono essere soddisfatte quanto più possibile. Prima di intraprendere un percorso bisogna essere certi di poter offrire loro una vita dignitosa, di poter soddisfare buona parte delle loro esigenze e quindi scegliere la specie dipendentemente da quello che possiamo dare, in termini economici, di spazio, di tempo e di cure e, perché no, di affetto. Ricordando sempre che non sono loro ad essere venute da noi, ma noi ad aver scelto loro.
Abbiamo il dovere di difendere questi animali con il massimo dell’impegno per far sì che nuove generazioni di piccole tartarughe possano ancora calpestare questa fantastica Terra. Il tardo Triassico ci ha consegnato in eredità un patrimonio troppo importante da salvaguardare.
Ringraziamo di cuore l’allevatore Davide Carlino per la concessione di questa intervista e vi invitiamo a non perdere l’ultima intervista di martedì 22 febbraio 2022, con i responsabili del “Centro Emys Piemonte“, Riccardo Cavalcante e Silvia Fiore.