Le Caretta caretta del Pacifico settentrionale depongono le uova sulle coste del Giappone, trascorrendo poi la maggior parte del tempo nell’ampio Oceano. Capita però, che alcuni di questi esemplari spuntino misteriosamente lungo il versante messicano, ad oltre quattordicimila km di distanza dalle spiagge di nidificazione.
Un viaggio incredibile, che richiede di attraversare acque decisamente fredde e potenzialmente mortali, ma che oggi sembra aver trovato una spiegazione. «Un mistero che durava da decenni e che nessuno riusciva a spiegare» ha dichiarato Larry B. Crowder, uno degli autori dello studio e professore presso la “Hopkins Marine Station” della Stanford University.
Secondo il nuovo studio pubblicato ieri sulla rivista “Frontiers in Marine Science”, le Caretta caretta raggiungono il Messico sfruttando “El Niño”, cioè il ciclo climatico che provoca un forte riscaldamento delle acque dell’Oceano Centro-Meridionale e Orientale e che si manifesta ogni 3/7 anni.
Dunque un “corridoio termale” che getta luce su un mistero che nasce nel 1996, quando un esemplare dotato di GPS fu rilasciato dalla costa della Bassa California e si diresse verso il Giappone. Lo studio inoltre, potrebbe fornire indicazioni anche per la protezione di questa specie, dato che con il cambiamento climatico arrivano ondate di acque superficiali sempre più calde e periodi più lunghi di eventi di questo tipo.
Il team di Crowder ha avuto bisogno della preziosa collaborazione del gruppo di Calandra Turner Tomaszewicz, scienziata del “NOAA Southwest Fisheries Science Center“, che stava studiando le ossa delle carcasse di tartarughe marine arenatesi in Messico.
Dall’analisi degli isotopi stabili è stato stilato il menù del cibo consumato dalle Caretta caretta nei vari anni di vita, dividendo i periodi in cui avevano cacciato in mare aperto (per es. meduse) da quelli lungo la costa (per es. granchi), confrontando poi questi dati con le temperature dell’acqua di quegli anni. È stato così scoperto che nel 60% dei casi, le tartarughe erano vicino alla costa proprio durante le ondate di acqua calda arrivate in Messico, rafforzando la tesi del “corridoio termico”.
Ovviamente sia i dati raccolti con lo studio del GPS e sia quelli del team della Tomaszewicz, non sono sufficienti per confermare l’idea di Crowder e degli altri autori ma questa resta comunque una ipotesi possibile che, nonostante i suoi dati limitati, potrà aiutare a comprendere una delle più lunghe migrazioni del regno animale.
Fonte info: www.frontiersin.org
Fonte foto: Michael Patrick O’Neill