Abstract
Le tartarughe sono note per la loro straordinaria longevità e per l’ampia variabilità nelle dimensioni corporee. Teoricamente, organismi di grandi dimensioni e lunga vita dovrebbero essere esposti a un rischio oncologico più elevato, a causa del maggior numero di cellule e del ricambio cellulare protratto nel tempo. Tuttavia, il cancro sembra essere eccezionalmente raro nelle tartarughe. Nel presente articolo, sono state sintetizzate le conoscenze attuali sulla prevalenza di neoplasie in questi rettili, attingendo a necroscopie effettuate negli zoo, referti istopatologici e studi di oncologia comparata, e si presentano nuovi dati relativi a ulteriori specie che confermano tale tendenza. Le evidenze molecolari emergenti indicano che le tartarughe possiedono una marcata resistenza allo stress ossidativo e alla disfunzione proteica, fattori che potrebbero contribuire alla loro capacità di soppressione tumorale. Considerata la loro longevità estrema e la fisiologia peculiare, le tartarughe rappresentano un modello promettente — ma ancora poco esplorato — per lo studio dell’evoluzione della longevità e dei meccanismi naturali di resistenza al cancro.
Sviluppo dello studio
Lo studio ha preso in esame l’apparente paradosso evolutivo che caratterizza le tartarughe: animali longevi, talvolta di grandi dimensioni corporee, che tuttavia mostrano tassi di incidenza tumorale sorprendentemente bassi. Questo fenomeno, noto come “Peto’s Paradox”, è stato analizzato attraverso un approccio multidisciplinare che ha integrato dati istopatologici da più di 300 necroscopie condotte su 17 specie di tartarughe ospitate in strutture zoologiche, oltre ad analisi genetiche e molecolari su campioni freschi e archivistici.
Il confronto con altri vertebrati ha rivelato che, in media, le tartarughe presentano un tasso di tumori maligni inferiore al 1%, un dato significativamente più basso rispetto a quello osservato nei mammiferi o in altri rettili. I ricercatori hanno osservato che, a differenza di molte specie a sangue caldo, le tartarughe raramente sviluppano neoplasie in età avanzata, nonostante l’elevato numero di cicli cellulari che si accumulano nel tempo. Questo risultato ha portato a ipotizzare la presenza di meccanismi evolutivamente stabilizzati che limitano la proliferazione incontrollata delle cellule.
Oltre all’analisi dei dati necroscopici, è stato condotto un approfondito studio molecolare su espressione genica, risposta allo stress ossidativo e regolazione proteica. Alcuni geni coinvolti nella riparazione del DNA, come TP53 (coinvolto nella senescenza cellulare e nell’apoptosi), hanno mostrato un’espressione modulata in maniera specifica rispetto a specie con maggiore incidenza tumorale. Inoltre, le tartarughe hanno dimostrato una notevole resistenza al danno ossidativo grazie a sistemi antiossidanti altamente efficienti, tra cui l’elevata attività di enzimi come la superossido dismutasi (SOD) e la catalasi.
Uno degli aspetti più affascinanti riguarda la stabilità proteica e il controllo del ciclo cellulare: nei campioni analizzati, le tartarughe mostravano livelli ridotti di aggregati proteici citotossici, spesso associati a patologie degenerative e neoplastiche in altri taxa. Questo suggerisce che i meccanismi di proteostasi (mantenimento dell’equilibrio delle proteine funzionali) potrebbero avere un ruolo centrale nella protezione contro il cancro. Un altro dato interessante è emerso dall’analisi filogenetica: la resistenza al cancro sembra essersi evoluta in modo convergente in diverse linee di tartarughe, non risultando legata esclusivamente alla taglia corporea o alla longevità, ma piuttosto a specifici adattamenti cellulari.
Infine, lo studio ha posto l’accento anche sul potenziale di queste scoperte per l’oncologia comparata. Le tartarughe, proprio per la loro longevità, le basse incidenze tumorali e i tratti fisiologici peculiari, potrebbero rappresentare modelli innovativi per studiare la soppressione naturale del cancro e la regolazione dell’invecchiamento nei vertebrati. In tal senso, i ricercatori auspicano un incremento degli studi genetici e trascrittomici su questo clade, per sfruttare appieno il potenziale che le tartarughe offrono come “modelli di resilienza biologica”.
Conclusioni
Le tartarughe sviluppano il cancro? Sì, ma con tassi eccezionalmente bassi rispetto a molti altri gruppi di vertebrati. Le crescenti evidenze molecolari suggeriscono diverse possibili spiegazioni per questo fenomeno, tra cui una spiccata resistenza allo stress ossidativo e allo stress del reticolo endoplasmatico — aspetti che meritano ulteriori approfondimenti. Permangono tuttavia alcune incertezze, legate principalmente alla carenza di dati rispetto a quanto disponibile per mammiferi e uccelli, nonché alla quasi totale assenza di studi oncologici su popolazioni selvatiche. Nonostante ciò, le tartarughe rappresentano un modello non convenzionale ma estremamente promettente per lo studio dei meccanismi di resistenza al cancro e dei processi legati all’invecchiamento. Approfondire tali aspetti potrebbe avere importanti implicazioni sia per la conservazione della fauna selvatica sia per la ricerca biomedica in ambito oncologico umano. Saranno fondamentali, in questa prospettiva, studi futuri che integrino oncologia comparata, genomica e modelli cellulari, al fine di svelare i meccanismi molecolari ed evolutivi alla base della straordinaria resistenza al cancro osservata nelle tartarughe.
Credit foto in evidenza: Chester Zoo