Abstract
Le spiagge sabbiose costiere rappresentano un importante habitat di nidificazione per le tartarughe marine e costituiscono al tempo stesso un noto punto di accumulo dell’inquinamento da plastica. Le metodologie attualmente utilizzate per monitorare i modelli spazio-temporali di abbondanza e composizione delle plastiche risultano tuttavia eterogenee. E’ stata coinvolta una rete globale di ricercatori specializzati nello studio delle tartarughe marine per realizzare un ampio sforzo di campionamento volto a valutare l’abbondanza di microplastiche nei sedimenti delle spiagge di nidificazione.
Campioni di sabbia sono stati raccolti in 209 siti distribuiti in sei oceani; le microplastiche (1–5 mm) sono state estratte mediante setacci sovrapposti, identificate visivamente e, in un sottoinsieme di campioni, verificate tramite spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier (FTIR).
Le microplastiche sono state rilevate nel 45% (n = 94) delle spiagge esaminate e in cinque bacini oceanici. La presenza e l’abbondanza di microplastiche sono risultate variare notevolmente all’interno e tra i diversi bacini, con la più alta proporzione di spiagge contaminate nel Mar Mediterraneo (80%).
Tutti i dati raccolti sono stati resi disponibili in un formato accessibile e open access, al fine di favorire l’ampliamento delle attività di monitoraggio e lo sviluppo di nuove analisi su scala globale.
Sviluppo dello studio
La ricerca è stata condotta nell’ambito di una collaborazione internazionale tra biologi marini, ecologi e specialisti di inquinamento costiero, coordinata da una rete globale di studiosi delle tartarughe marine. L’obiettivo era quello di fornire la prima valutazione su scala planetaria della contaminazione da microplastiche nelle spiagge di nidificazione, combinando protocolli standardizzati e una copertura geografica senza precedenti.
Il campionamento ha riguardato 209 spiagge distribuite in 39 Paesi e sei principali bacini oceanici (Atlantico, Pacifico, Indiano, Mediterraneo, Caraibico e regioni oceaniche isolate come Bermuda, Hawaii e Chagos). I siti sono stati selezionati in base alla presenza documentata di nidificazioni attive di tartarughe marine appartenenti ai generi Caretta, Chelonia, Eretmochelys, Lepidochelys e Dermochelys, così da rappresentare l’intera diversità ecologica e geografica delle aree riproduttive note.
Tra il 2018 e il 2020, durante o immediatamente dopo la stagione di nidificazione, sono stati prelevati campioni di sedimento superficiale nelle aree effettivamente utilizzate dalle femmine per la deposizione delle uova. Ogni campione è stato raccolto seguendo un protocollo uniforme di profondità e volume, per garantire la comparabilità tra siti e ridurre i bias dovuti a differenze di granulometria o di condizioni ambientali.
In laboratorio, i sedimenti sono stati essiccati, pesati e setacciati mediante una serie di maglie sovrapposte, per isolare le particelle comprese tra 1 e 5 millimetri, cioè la dimensione comunemente riconosciuta per le microplastiche. Le particelle sospette sono state identificate visivamente e classificate in base a forma (frammento, fibra, film, pellet o schiuma), colore e dimensioni, seguendo i criteri internazionali raccomandati dal gruppo di esperti GESAMP (Joint Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Protection).
Per confermare la natura sintetica del materiale e determinare il tipo di polimero, un sottoinsieme rappresentativo di campioni è stato analizzato con spettroscopia FTIR (Fourier-Transform Infrared Spectroscopy), una tecnica in grado di identificare i legami molecolari caratteristici dei principali polimeri plastici. Le analisi statistiche hanno poi consentito di confrontare i livelli di contaminazione tra regioni oceaniche e di esplorare la relazione tra l’abbondanza di microplastiche e variabili ambientali come la densità umana costiera, la presenza di porti o aree turistiche e la distanza dalle principali correnti marine.
I risultati hanno rivelato una forte eterogeneità geografica. Circa il 45% delle spiagge campionate conteneva microplastiche nei sedimenti, con concentrazioni più elevate nel Mar Mediterraneo (79,5% dei siti), seguito dalle isole oceaniche tropicali soggette a fenomeni di accumulo dovuti al trasporto marino. I frammenti e le schiume (foam) sono risultati i tipi più comuni di microplastiche, mentre i polimeri predominanti identificati sono stati il polietilene (PE) e il polipropilene (PP), materiali ampiamente utilizzati in imballaggi e beni di consumo e caratterizzati da elevata persistenza ambientale.
Questa rete di ricerca globale ha permesso di costruire per la prima volta una mappa comparativa della contaminazione microplastica nei siti riproduttivi delle tartarughe marine, offrendo una base di riferimento fondamentale per gli studi futuri e per la definizione di protocolli di conservazione mirati a questo tipo di minaccia.
Conclusioni
I risultati mostrano chiaramente che le microplastiche sono ormai onnipresenti anche negli habitat riproduttivi delle tartarughe marine, rappresentando una nuova minaccia potenziale per la conservazione della specie. La loro presenza nei sedimenti può alterare le proprietà fisiche e termiche della sabbia, influenzando parametri critici come la temperatura di incubazione, da cui dipende la determinazione del sesso dei piccoli, nonché la permeabilità del suolo e lo scambio gassoso nei nidi. Inoltre, l’accumulo di frammenti plastici può ridurre la qualità complessiva dell’habitat costiero, con possibili ripercussioni sulle dinamiche di deposizione e sull’emergenza dei neonati. Gli autori sottolineano la necessità di standardizzare i metodi di campionamento e di analisi, al fine di rendere confrontabili gli studi futuri e costruire un monitoraggio a lungo termine della contaminazione da microplastiche nelle spiagge di nidificazione. Raccomandano, inoltre, di integrare il parametro “microplastiche nei sedimenti” nei protocolli di conservazione delle tartarughe marine, accanto ai monitoraggi su temperatura, erosione e disturbo antropico. Questo studio, il primo nel suo genere per ampiezza geografica e rigore metodologico, rappresenta un punto di riferimento globale per comprendere la dimensione del problema e orientare strategie di gestione più efficaci. La tutela delle tartarughe marine passa oggi non solo dalla protezione delle acque in cui nuotano, ma anche dalle spiagge su cui nascono — ambienti sempre più minacciati da un inquinamento invisibile e persistente come quello delle microplastiche.
Credit foto in evidenza: Loggerhead Marinelife Center