L’estrazione mineraria e le risorse naturali costituiscono una sostanziale fetta delle esportazioni dalla Papua Nuova Guinea ma un progetto di estrazione di sabbia da parte della società singaporiana “Niugini Sands“, sta incontrando da oramai tre mesi la dura opposizione dei comitati cittadini.
Gli attivisti contestano tale progetto per due principali motivi; in primis per non essere stati adeguatamente consultati, violando così i loro diritti costituzionali, e poi ancor più più perchè l’estrazione della sabbia in quell’area del nord del paese, rappresenterebbe un serio rischio per le nidificazioni di Dermochelys coriacea, tartaruga marina in via d’estinzione.
«Una società mineraria registratasi solo nel gennaio 2020 vorrebbe estrarre sabbia dalle coste di Sumgilbar, promettendo un ritorno di 10 milioni di kina (circa 230 mila euro) già nel primo anno di attività. Ma a spese di cosa? Dovremmo accettare la distruzione delle spiagge dove depositano le uova le tartarughe liuto? Dovremmo dimenticare la bellezza ed il potenziale turistico delle nostre coste? E poi, nessuno ci pensa alle comunità costiere che stanno già affrontando gli impatti del cambiamento climatico? Vogliamo permettere dunque, di far abbassare ancor più il livello della sabbia che protegge le abitazioni di questa gente?»
Sono queste le parole amare e di resistenza che si leggono in un post scritto su Facebook da una biologa marina dell’organizzazione non-profit “Piku Biodiversity Network Inc.”.
Dall’altra parte però, la società si difende attraverso un comunicato in cui afferma di non voler far altro che l’interesse dei due paesi coinvolti, invitando tutti ad abbracciare questo progetto di cambiamento e di non opporsi, ricordando nuovamente il piano di vantaggi economici per la popolazione locale.
Non è solo un problema di denaro per i comitati che si stanno battendo contro il progetto ma è principalmente un problema ambientale, visto che lo scavo interesserebbe quasi 40 km di spiagge di sabbia scura nel nord della provincia di Madang.
«Soprattutto il governo dovrebbe esserne consapevole ma sembra che in questo 2020 nessuno dei ministri se ne sia interessato e le nostre domande restano ancora senza risposta» hanno dichiarato gli attivisti.