Delle sette specie di tartarughe marine attualmente presenti sul pianeta Terra, soltanto due di esse appartengono allo stesso genere, la Lepidochelys olivacea e la Lepidochelys kempii. Nonostante ciò, si conosce molto poco sulla loro storia e sulla loro evoluzione, ma i resti di un carapace rinvenuti recentemente sulla costa caraibica di Panama potrebbero aiutare a saperne di più.
La scoperta è avvenuta nella Chagres Formation (Tc), il che indica che questo esemplare visse qui circa sei milioni di anni fa, nel Miocene superiore (Messiniano), epoca in cui il mondo si stava raffreddando e diventando più secco, con l’accumulo di ghiaccio ai poli e con l’abbassamento del livello del mare.
I resti sono stati studiati da un team di paleontologi guidati dal Dr. Edwin Cadena dell’Universidad del Rosario di Bogotà, in Colombia, che ha confermato sia che si tratta della più antica testimonianza fossile mai rinvenuta di tartarughe del genere Lepidochelys, ma soprattutto che sono state trovate cellule ossee (osteociti) in cui è stato possibile isolare tracce di materiale genetico (DNA).
«All’interno dell’intera documentazione fossile di vertebrati sul pianeta, questo era stato segnalato soltanto in due fossili di dinosauro, tra cui un Tyrannosaurus rex» ha sottolineato il Dr. Cadena, riferendosi ai resti di DNA.
I risultati dettagliati dello studio sono stati pubblicati il 28 settembre sul “Journal of Vertebrate Paleontology” e saranno fondamentali per comprendere la biodiversità presente quando l’istmo di Panama emerse per la prima volta circa tre milioni di anni fa. Questa stretta striscia di terra divise il Mar dei Caraibi e l’Oceano Pacifico, unendo il Nord e il Sud America e creando così un ponte terrestre che ha reso più facile la migrazione di alcuni animali e piante tra la parte meridionale e quella settentrionale del continente.
«Molte generazioni sono cresciute con l’idea di estrarre e riportare in vita organismi estinti», afferma Cadena. «Tuttavia, questo non è il vero scopo della paleontologia molecolare. Il suo obiettivo è invece tracciare, documentare e comprendere come biomolecole complesse come il DNA e le proteine possano essere conservate nei fossili».
Questo nuovo esemplare di tartaruga potrebbe aiutare altri paleontologi molecolari a comprendere meglio come i tessuti molli possano essere preservati nel tempo. Potrebbe anche spostare l’idea che le biomolecole originali come le proteine o il DNA abbiano una sequenza temporale specifica per la conservazione nei fossili e incoraggiare il riesame dei campioni più antichi alla ricerca di tracce di biomolecole.
Per maggiori informazioni: An Upper Miocene marine turtle from panama that preserves osteocytes with potential DNA