Quarantaquattro carcasse di tartarughe marine spiaggiate sulla costa orientale della Spagna sono state sottoposte ad una accurata indagine necroscopica, che ha evidenziato una forte contaminazione a livello chimico dell’ambiente marino.
Lo studio di ricerca, condotto da Ethel Ejarrat dello “Spanish National Research Council” ha riscontrato la presenza di una elevata concentrazione di plastica nei tessuti muscolari delle Caretta caretta su cui si è concentrato il lavoro.
«I livelli maggiori di plastica sono stati individuati negli esemplari rinvenuti alle Baleari e si è giunti alla conclusione che le tartarughe che vivono lungo la costa algerina vengono a contatto con una più grossa mole di rifiuti rispetto a quelle che vivono lungo la costa catalana» ha riferito il Dr. Ejarrat.
Lo studio dunque ha rivelato che i rifiuti non hanno solo un impatto fisico su questi rettili, quando essi restano intrappolati o li ingeriscono, ma anche un impatto a livello chimico. Sono stati valutati diciannove “ingredienti” della plastica, tutti OPC (Organophosphate Contaminant) utilizzati per aumentare la resistenza al fuoco, con una presenza variabile dai sei ai cento nanogrammi per ogni grammo di tessuto muscolare.
«Il risultato non è pari ad un avvelenamento grave ma sicuramente persistente» ha informato il Dr. Ejarrat. Rispetto ad altri animali acquatici, le tartarughe marine sono maggiormente a rischio, sia per una diversa conformazione polmonare e sia perchè le sostanze individuare possono risultare cancerogene o influenzare la loro fertilità.
Se le tartarughe stanno lottando contro questi impatti, è ovvio che anche noi esseri umani siamo a rischio: «Stiamo integrando queste sostanze nella nostra dieta attraverso il pesce oltre che dall’aria mentre prendiamo fiato e inoltre, a seconda di ogni persona, il nostro microrganismo potrà essere negativamente influenzato» ha concluso l’autore dello studio.